Sanità

19 Novembre 2020 by Articoli di partito 708 Views
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Il collasso del sistema sanitario, che oggi si mostra in tutta la sua drammatica enormità, viene da lontano e si aggrava di spaventose, attuali, incapacità. Viene dal numero chiuso per l’accesso alla facoltà di medicina, deciso a suo tempo e confermato anche negli ultimi anni, quando era evidente a tutti la fascia di età dei medici che incontravamo negli ospedali, nei poliambulatori, nella medicina di base.

Non occorreva nessuna grande competenza in organizzazione sanitaria per capire che nel giro di pochi anni sarebbe stato necessario un ricambio di massa di quei professionisti ma questo si è voluto consapevolmente ignorare.

Ma come si non fosse sufficiente il numero chiuso, in Italia si è voluto andare oltre. Una volta ben selezionati in entrata alle facoltà di medicina, i giovani laureati vengono, per anni, collocati, anzi parcheggiati, in una paradossale attesa di accesso alle scuole di specializzazione senza le quali non si ha la possibilità di una assunzione nel sistema sanitario. Solo che c’è un piccolo dettaglio: posti nelle scuole di specializzazione non ce ne sono, non si autorizzano e così, consapevolmente e programmaticamente, i posti disponibili coprono solo una percentuale bassissima dei già pochi giovani laureati in medicina. Così mancano i pediatri, mancano gli psichiatri, mancano i cardiologi, mancano gli ortopedici, mancano gli anestesisti, gli oculisti…. e questo sotto gli occhi di tutti, senza che nessuno tra coloro che hanno e hanno avuto responsabilità di governo sentisse la necessità di porre rimedio. In una cinica povertà di idee e di azioni che può spiegarsi solo con la precisa volontà di smantellare la sanità pubblica e di eliminare la possibilità per tutti di accedere alle cure. Una inattività che si spiega solo con l’evidente decisione di cedere ai privati la salute delle persone. Sono logiche conseguenze le lunghe liste d’attesa nel pubblico, anche per patologie gravi e gravissime, le prestazioni veloci nel privato convenzionato, le prestazioni quasi immediate nel privato a pagamento. Non c’era bisogno di covid per vedere lo stato di salute del sistema sanitario con una politica impegnata a fare e a disfare la asl unica e le otto, le sei, le quattro unità sanitarie locali. Tutti affaccendati a fare gli strateghi, i baroni, i manager, i direttori di questo e di quello mentre si faceva sempre più difficile, fino ad essere negato, in diritto ad accedere alle prestazioni sanitarie. Tutto tranne l’assistenza e la cura delle persone ammalate. Un disastro se si osservano le politiche sanitarie degli ultimi anni in Sardegna. Anni di tagli, di smantellamenti di reparti, di piccoli ospedali lasciati morire e smantellati piano piano. Anni di “riordino della rete ospedaliera” assegnando posti letto agli ospedali privati e togliendoli a quelli pubblici. Anni senza incidere e senza modificare di una virgola le grandi criticità che accentuavano la difficoltà delle parsone ad acceder alle cure. Anni senza dire una parola e senza esprimere un pensiero sulla sanità territoriale concentrando tutto in quegli ospedali sotto organico, dove chi andava in pensione non veniva sostituito. Però, questo si, un puntiglioso attivismo, una inusuale efficienza nel trasformare la sanità in un ricchissimo terreno di pascolo di quei campioni delle preferenze che controllavano le assunzioni di operatori sanitari ma prima ancora di parcheggiatori, addetti di vario tipo, uscieri e quant’altro valesse un voto nei servizi esternalizzati. Con il territorio regionale suddiviso in precise zone di influenza di coloro ai quali devi rivolgerti, specie sotto elezioni, se ti serve qualcosa in sanità.

Oggi manca tutto. Il sistema di tracciamento è saltato. Le Usca a cui tutti si invocano sono pochi giovani medici per provincia che non hanno alcuna minima possibilità di soddisfare la domanda di assistenza territoriale. I medici di base già lavoravano in condizioni proibitive e chiedere loro di farsi carico dei pazienti covid a domicilio viene molto in salita, come ha dimostrato il TAR del Lazio con buona pace di chi di volta in volta individua facili bersagli. L’ATS non prende in carico chi è positivo e chi si ammala, le ambulanze stazionano davanti agli ospedali perché non ci sono posti e soprattutto non c’è personale medico. Perché una tenda e un letto si potrebbe anche approntarlo in fretta, ma un medico no, uno specialista, un infermiere non lo si forma dall’oggi al domani.

Ora è da quella massa di giovani laureati, parcheggiati in attesa di una scuola di specializzazione, che si è andati ad attingere per annunciare trionfalmente, in Sardegna, l’assunzione di 500 medici. Per sei mesi. Secondo la migliore mentalità dell’usa e getta che ormai si applica impunemente al lavoro e al lavoratore qualunque sia la sua professione e il suo profilo. Per il domani, siccome non c’è limite al peggio, si parla con

sempre maggiore insistenza alla assunzione di giovani che non hanno ancora concluso il percorso universitario

Dovevi essere lungimirante per trovarti un poco più preparato ad una emergenza sanitaria come questa ma così non è stato. Nessuna etica, nessun ideale, nessuna idea di bene comune, nessuna visione in coloro che in questi anni hanno programmato e governato la sanità, in Sardegna e a quanto pare, dove più e dove meno, in tutta Italia.

Lucia Chessa, iscritta ai RossoMori.