ha saputo accendere l’attenzione sulle tante criticità che il progetto presenta, ben esposte grazie ad un prezioso lavoro di controllo e monitoraggio a cui anche noi rimandiamo per chi voglia avere tutti i dettagli. Alla luce di tutti i rilievi raccolti dal Comitato come partito dei Rossomori anche noi condividiamo l’incontrovertibile necessità di fermare i lavori e di aprire una fase di verifica dell’intero iter progettuale. Fatta questa fondamentale premessa, dal nostro punto di vista occorre però fare ulteriori riflessioni. Questo perché riteniamo che chi si occupa di politica non possa limitarsi alla protesta, pur necessaria come primo passo davanti ad un atto ritenuto illegittimo e ingiusto. La politica ha infatti un’ulteriore responsabilità: quella di inserire i fatti in un quadro più ampio di ragionamento, per arrivare a capire come governare il territorio e i nostri bene pubblici. In relazione a questo noi Rossomori riteniamo infatti che Punta Giglio sia un capolinea con un bivio e due sole strade possibili da percorrere. La prima strada è quella percorsa finora, la strada che il progetto della cooperativa Quinto Elemento interpreta perfettamente: come cittadini di Alghero, quella di accettare di essere esclusi dai processi decisionali, lasciando che a governare il nostro territorio e i nostri beni siamo altri. Con le conseguenze che a cui stiamo assistendo: davanti ai molti interrogativi sul progetto in atto, l’elenco dei colpevoli - Enti e amministratori regionali e locali – è fitto e numeroso. Possiamo dire che è responsabile il Demanio marittimo il quale, a dispetto di tutte le direttive europee della legge Bolkestein, continua ad affidare per decenni porzioni del nostro territorio senza consultarsi con i cittadini che lo abitano. è responsabile anche la Regione che ancora una volta, in barba alla nostra autonomia e al nostro statuto di Sardegna, permette al Demanio un bando per l’affidamento di un bene straordinariamente prezioso come Punta Giglio senza opporsi; non solo, declina ogni invito dell’azienda Borgosesia la quale da tempo ricerca un incontro istituzionale che possa liberare i terreni su Punta Giglio di cui è proprietaria. Possiamo certamente dire che sono responsabili anche gli amministratoti di oggi quanto quelli degli ultimi decenni per non aver creato gli strumenti urbanistici (PUC, Piano Urbanistico dei Litorali, solo per citare i più urgenti) di cui la città ha bisogno, costringendo così il territorio a rimanere ancorato alla visione del PRG. Infine è responsabile anche il CDA del Parco di Porto Conte che ha lasciato le caserme e le batterie di Punta Giglio nell’abbandono più totale, e che non riesce neanche a gestire la fauna e la flora del suo Parco e che ancora non si è dotato di un proprio Piano del Parco. Al capolinea il bivio ha però una seconda strada: è la strada del buon governo. È una strada che ci chiama a superare le posizioni esclusivamente difensive e a porci finalmente in un’ottica di comunità sovrana. È la strada dell’autodeterminazione. Significa una volta per tutte farci carico pienamente del governo del territorio. Questo vuol dire interrogarci, ragionare insieme, valutare proposte e opzioni in campo. Insomma, scegliere da noi stessi il nostro destino. Nell’atto pratico significa che chi ci amministra – a livello locale prima, e regionale poi - deve essere capace di tracciare una strada per lo sviluppo del nostro territorio. Stiamo parlando di uno sviluppo buono, che tenga conto del rispetto del patrimonio più prezioso che possediamo: l’ambiente e la natura; di uno sviluppo giusto, capace di scongiurare speculazioni ma anche di superare forme di abbandono e incuria; di uno sviluppo sostenibile, in grado di accordare la protezione ambientale con forme di economia. Nella pratica però significa anche che noi cittadini dobbiamo essere messi nelle condizioni di dire la nostra, di valutare punti di forza e debolezze, opportunità e rischi di una proposta di utilizzazione o di valorizzazione. Punta Giglio è un capolinea perché allo stato delle cose è l’emblema della nostra incapacità gestionale e di assenza di amministratori all’altezza del compito che i cittadini gli hanno affidato. Ma è anche un’occasione preziosa perché questa sfida può farci crescere. Dipende da come la affronteremo. Ricordandoci che ci sono una, cento, mille Punta Giglio nel territorio algherese, cosi come in tutta la Sardegna. Ad esempio il faro di Capo Caccia rischia di essere venduto senza che il territorio dica la sua, allo stesso modo c’è da chiedersi che fine faranno i terreni di Borgosesia a valle delle casermette di cui già si è parlato, per non parlare poi di tutti i beni demaniali e di proprietà di vari enti pubblici i quali spesso e volentieri vengono utilizzati dai privati, non si capisce bene a che titolo e con quali vantaggi per la comunità nel suo insieme. Il bivio è qui davanti, ora. A noi la scelta.