La Terza Guerra mondiale è già iniziata.

04 Novembre 2022 by Articoli di partito 1082 Views
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Non dovrebbe esserci ragione che ne giustifichi la straziante oscenità eppure, continua la barbarie. Oggi come ieri, qui come in altri luoghi, eccoci di nuovo avvitati in una spirale carica di incertezza, rispetto alla quale a nessuno è dato prevedere come finirà. Si scontrano di nuovo due imperialismi.

Uno è quello dell’autoritarismo oligarchico di Putin, al potere da 25 anni, detentore di un patrimonio personale di incalcolabili dimensioni, padrone assoluto di un paese nel quale le voci critiche si mettono brutalmente a tacere. L’altro è quello americano, con una Nato che si espande a dismisura escludendo zone di neutralità e perseguendo, come sempre, politiche di dominio e supremazia che riproducono dinamiche da Guerra Fredda. Noi RossoMori non ci schieriamo con nessuno di questi imperialismi. La nostra profonda solidarietà va alle popolazioni ucraine e russe che chiedono la fine del conflitto. Ma non intendiamo partecipare alle tifoserie che si vanno definendo alimentate da un’informazione manipolata e propagandistica che si accompagna sistematicamente ad ogni guerra. Per noi l’unica opzione resta quella diplomatica. Per ciò il nostro è un No deciso all’invio di armi all’Ucraina e un No deciso alle sanzioni perché storicamente non hanno mai prodotto effetti nei confronti dei regimi autoritari, ma sono state, semmai, causa di sofferenze ulteriori per le popolazioni che a volte, accompagnate da opportune campagne di propaganda, hanno avuto come esito una crescita di consenso a favore dei regimi. Viceversa, i grandi monopoli e le grandi forze economiche hanno sempre avuto tutti gli strumenti per aggirarle. Ma riteniamo anche che una richiesta di pace sia insufficiente se non accompagnata dalla richiesta di un nuovo modo di stare su questo pianeta. Perché le guerre non scoppiano all’improvviso. Le guerre si preparano lentamente e prima di deflagrare affondano bene le loro oscene radici su un terreno che è loro congeniale. Fatto dei favolosi affari dell’industria bellica, di politiche militariste di supremazia e dominio, fatto di culture politico-economiche aggressive che hanno bisogno di controllare approvvigionamenti e mercati e di democrazie degenerate, deboli e divise, ostaggio di economie potenti che si muovono su una dimensione globale. Viviamo in un mondo interconnesso dove grandi oligarchie e grandi gruppi monopolistici controllano beni essenziali (energia, cibo, sicurezza, salute). Tirano le fila indifferenti alle povertà, alle disuguaglianze e alle sofferenze di territori e popolazioni dipendenti e subalterne. I poteri economici e finanziari indirizzano le scelte e soverchiano democrazie in drammatica crisi. Il pensiero politico è debolissimo, limitato a regolamentare l’esistente ma privo di slancio ed insufficiente rispetto alle enormi sfide di questo tempo e alla necessità di costruire un mondo che metta al centro la persona con la sua dignità. Questo è il terreno nel quale si contrasta la cultura della guerra e il pensiero politico, specificatamente quello di sinistra, dovrebbe recuperare il suo ruolo. Ma questo è il terreno in cui appare del tutto insufficiente l’Europa, chiusa nei propri egoistici interessi nazionali, incapace di prevenire prima, e di disinnescare dopo, l’escalation di un conflitto armato dentro i suoi confini. Appare gravissimo l’invio di armamenti, tanto più grave in un’area di guerra nella quale i rapporti di forza tra le due parti sono di uno squilibrio tale da lasciare pochi dubbi sull’esito della guerra. A meno che non si voglia considerare come un’opzione plausibile l’estensione del conflitto ad altri paesi e in definitiva l’intervento della NATO. Indecente il balbettio dell’Italia, ripiegata sulla sua dipendenza energetica, incapace di frenare speculazioni già in atto, con un parlamento che vota in modo quasi unanime a favore di un atto di guerra qual è l’invio di armi ad una delle due parti. Esclusa anche da una seppur minima possibilità di giocare un ruolo diplomatico, con un ministro degli esteri di immensa e pericolosa inadeguatezza che, già nelle prime fasi del conflitto, utilizza la televisione per dare dell’animale a Putin. Il linguaggio è una componente importante. Noi pensiamo che lo sconforto e la rabbia per l’esplosione di un nuovo conflitto armato, con il suo carico di sofferenze e lutti disumani, non possa se non tradursi in un nuovo impegno alla costruzione di nuove democrazie, vere e non finte. Noi crediamo che sia necessario amplificare l’impegno per costruire popoli e territori capaci di vera autodeterminazione. Lavoriamo a ridurre al minimo le dipendenze politiche, economiche, energetiche, alimentari di ogni popolo e di ogni territorio, costruiamo sicurezza attraverso la giustizia e la lotta alle diseguaglianze, l’affermazione dei diritti dei popoli e delle persone. E ricordiamo che il riconoscimento del principio di autodeterminazione toglierebbe forza ai nazionalismi aggressivi e agli imperialismi che oggi determinano la direzione della storia. E aprirebbe il discorso della autodeterminazione culturale e politica dell’Europa rispetto ai vecchi e nuovi imperialismi delle potenze emergenti in un contesto in cui potrebbe profilarsi una marginalizzazione economica, culturale, demografica dell’area europea. Noi, che affermiamo il principio di autodeterminazione, lo applichiamo anche alla nostra visione europeista. La drammatica attualità della guerra in corso è l’occasione per ribadire nuovamente il no alle basi militari in Sardegna e l’iniquità di aver concentrato qui il 68% delle servitù militari italiane. Interroghiamo il presidente Solinas su quale sia in questo momento l’utilizzo delle basi militari sarde e se ci sia un qualche coinvolgimento, anche solo logistico, delle stesse nella guerra in corso. Lo invitiamo pertanto a riferire su questo al popolo sardo se non al parlamento che lo rappresenta.

 

                                                                                                                                                                                                                Lucia Chessa Segretaria Rossomori