RossoMori e la guerra

06 Novembre 2022 by Articoli di partito 403 Views
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Mai come in questi tempi di guerra così vicina a noi occidentali, l'autodeterminazione dei popoli diventa fondamentale per garantire pace, libertà, prosperità. Nel nome dell'autodeterminazione si fanno le guerre e nel nome dell'autodeterminazione si possono evitare. Ogni popolo deve potersi esprimere per organizzare le proprie istituzioni e deve poterlo fare pacificamente, democraticamente con la necessaria trasparenza e, là dove serva, con la necessaria gradualità.

Ogni popolo deve poter scegliere quale economia, quali istituzioni, quale futuro darsi, nel rispetto dell'uguaglianza, della dignità e della libertà di ogni persona. Autodeterminazione come diritto fondamentale per la costruzione di percorsi di pace. Autodeterminazione come strumento di risoluzione di guerre e/o controversie internazionali. Noi pensiamo che se l'Europa non vuole soccombere deve uscire dal labirinto che essa stessa ha creato, mettendo in campo un nuovo progetto che possa dare risposte pacifiche alle tante questioni aperte sul suo territorio. Ma occorre una Europa diversa, democraticamente organizzata nelle sue istituzioni. Solo così si può avere fiducia in un nuovo progetto europeo nel quale possa rafforzarsi il senso di appartenenza ad una comunità, ognuno con la propria identità, il proprio progetto politico, economico e sociale. Un destino condiviso basato sulla libertà, il benessere, la pace, con il valore aggiunto della diversità dei suoi popoli. Gli Stati nazionali così come li conosciamo oggi sono veramente anacronistici, piegati sulla formuletta "della difesa degli interessi nazionali" centralisti e prevaricatori. Hanno portato l'Europa, per esempio nella guerra Russia e Ucraina ad una irrilevanza sul piano internazionale, con una profonda divisione interna fra filo -americani e filo-russi, rinunciando alla propria autonomia. L' Europa, fondata dopo la seconda guerra mondiale per garantire la pace, in difesa dei valori democratici, del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali di ogni essere umano, contro l'orrore di ogni guerra, non vuole o non può applicare i principi che sottendono la propria nascita! Fa un certo effetto che a negoziare una difficile pace nella guerra di invasione Russa sia un dittatore, persecutore del popolo curdo che imprigiona oppositori e stampa libera. Gli Stati nazionali con il loro centralismo esasperato stanno minando le fondamenta della Ue. Ecco occorre una nuova visione, un nuovo progetto per la costruzione dell'Europa dei popoli. Le vicende internazionali odierne impongono una riflessione seria a cui nessuno possa sottrarsi. L' art.1 del patto internazionale ONU recita: "tutti i Popoli hanno il diritto di autodeterminazione, in virtù di questo diritto, essi decidono del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale". Noi pensiamo che i popoli che lo ritengano, lo sentano necessario, possano e debbano autodeterminarsi pacificamente, secondo le regole che lo stesso diritto internazionale prescrive. È previsto per esempio che se uno Stato Nazione diventa un ostacolo allo sviluppo economico, sociale e culturale di un determinato territorio, lo stesso può legittimamente avanzare la richiesta e iniziare il suo percorso di autodeterminazione. Tuttavia gli Stati nazionali si fanno scudo di costituzioni obsolete e, spesso in modo violento, impediscono l'esigibilità del diritto di ogni popolo ad utodeterminarsi, vedi Catalogna, Scozia, Corsica, Sardegna e da ultimo lo stesso conflitto russo ucraino. Così accade che le guerre si combattono per negare il riconoscimento dell’autodeterminazione dei popoli che la pretendono, che, se praticata, diventerebbe invece un potente deterrente per i guerrafondai del pianeta. Il presupposto per una via pacifica per l'autodeterminazione dei Popoli, è il diritto di scegliere: quale progetto economico, quali istituzioni, insomma quale futuro voglia darsi ogni popolo, nel rispetto dell'uguaglianza, della dignità e delle libertà di ognuno. Qui non si tratta di dissolvere l'UE in tante "piccole patrie" ma l'esatto contrario. Occorre ribadire con decisione: serve a tutti una nuova Europa dove tutti si possano riconoscere, dove si rafforzi il senso di appartenenza ad una comunità, ognuno con la propria identità e il proprio progetto politico, economico, sociale e culturale ma con un destino condiviso. Qui da noi, in Sardegna il centralismo dello Stato italiano è insopportabile. Ostacola la crescita economica, sociale e culturale del popolo sardo. L'autonomia speciale s'è consumata per così dire "senza essere stata mai applicata". Non ci pare una grande trovata " l'insularità in costituzione" che ha trovato tutti i partiti italiani concordi. Noi abbiamo molte perplessità perché non ci pare che sia un passo avanti verso la riduzione della dipendenza dallo Stato, ci pare un riconoscimento generico con poche conseguenze pratiche, che aggiunge poco o nulla ai poteri statutari. Anche perché l'articolo 13 del nostro statuto speciale, norma di rango costituzionale, chiama lo Stato a partecipare allo sviluppo economico e sociale dell'Isola (si è scritto proprio ISOLA): "Lo Stato col concorso della Regione dispone un piano organico per favorire la rinascita economica e sociale dell'Isola". Magari con i partiti italiani si sarebbe potuta condividere una vertenza per l'applicazione dell'art.13. Visto che ormai sarà approvata "l'autonomia differenziata" richiesta da Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, si poteva e si può affrontare una battaglia tutti insieme, ad esempio per ottenere la possibilità di una consultazione referendaria sull'autodeterminazione della nostra Isola. Se non altro per legittima difesa. Noi Rossomori pensiamo che sia tempo di pretendere e di ottenere i poteri e le risorse dallo Stato italiano necessari per l'autogoverno della nostra Isola. Le controparti si devono individuare con chiarezza e le battaglie non si annunciano, semplicemente si fanno. Va detto però che per "bastare a noi stessi" non bastano poteri e risorse, serve un processo di "decolonizzazione "che trasformi un generico sentire comune di appartenenza ad un popolo, in una nuova e fattiva volontà di affrancamento; in quest'ottica serve riscrivere il libro delle nostre comunità, al di là di miti e leggende: "Non possiamo rinunciare a pensare che noi non siamo solo noi stessi ma che siamo anche attraverso gli altri e apparteniamo a collettività e comunità per volontà e in dipendenza dei fatti e che l'avventura collettiva ha ancora un senso". Per acquisire autoconsapevolezza e fiducia però la nostra strada dovrà essere segnata solo dai nostri passi e lungo questa strada dovrà formarsi una nuova classe dirigente. Classe dirigente che dovrà a sua volta formarsi su una nuova idea di Sardegna. Noi Rossomori sappiamo chi siamo e abbiamo una precisa visione del mondo nel quale tutti devono avere le stesse opportunità e i diritti devono bilanciarsi con i doveri di ognuno. In questo momento, dove giustizia, libertà e uguaglianza sembrano parole desuete, vuote di contenuti, occorre raccogliere quella bandiera attorno alla quale si radunavano generazioni che volevano un futuro migliore per sé e per i propri figli. Per questo noi Rossomori siamo di sinistra e lo saremmo anche se la sinistra non ci fosse più, perché misuriamo una società non sul successo dei primi ma sui diritti degli ultimi. Non esiste il sardo "buono per natura" il malgoverno di Solinas ce lo ricorda tutti i giorni. Non siamo né illusi né sognatori acchiappa-nuvole, siamo pienamente consapevoli che è un percorso lungo e per questo va ribadito che i modelli di società devono concretizzarsi in progetti e programmi esigibili, concretamente misurabili. Pensiamo che il percorso di autodeterminazione sia fatto di tappe, di conquiste. Che ogni riduzione della e dalla dipendenza sia un passo avanti verso l'autodeterminazione. Occorre serietà, concretezza, consapevolezza e competenza. Abbiamo un bisogno disperato di un rinnovato impegno per una nuova stagione politica e bisogna essere tanto inclusivi quanto intransigenti su principi e valori. E servono menti intellettualmente libere per ammettere che non tutto il male viene da oltre il mare. Non ci sveglieremo una mattina dichiarando nata la Repubblica di Sardegna e battendo moneta, la retorica la lasciamo volentieri ad altri. La libertà è anche questo, va oltre la retorica della costante resistenziale sarda più raccontata che praticata. Recenti indagini delle università sarde raccontano che i sardi sarebbero in maggioranza orientati per l'autogoverno dell'Isola, però poi ad ogni tornata elettorale i partiti di quell'area raccolgono consensi poco significativi, per non dire irrisori, probabilmente perchè gli stessi sardi non gli riconoscono capacità di governo. Ecco perché noi continuiamo ad insistere sulla unità, partendo però dalla riva sinistra: federalisti, autonomisti, indipendentisti, partiti, movimenti e associazioni che si mettano insieme per elaborare un progetto di Sardegna credibile, e con umiltà proporlo ai sardi. È una strada lunga e faticosa ma è l'ultima possibilità che abbiamo per non spegnerci piano piano consumati come candele. Non possiamo arrenderci e scomparire, maledicendo e maledetti. Lo diciamo a chi ha paura dell'autogoverno: cosa altro ci deve fare lo Stato italiano? Non basta ancora? Il governo italiano attraverso l'ENI inquina e scappa, lasciandosi dietro una marea di disoccupati e malattie da inquinamento. Alla faccia del “chi inquina paga”. Della ricchezza prodotta dalla Saras in Sardegna non resta nulla, né sotto forma di tasse né tantomeno come tariffe agevolate sui carburanti. Ancora una volta ci restano solo aria e terra malsane. Per farci dire BASTA non bastano neanche le servitù militari che lasciano nei territori occupati solo una lunga scia di malati e di morti. Non bastano neanche le servitù energetiche; produciamo più energia di quanto ci serva eppure con l'assalto al nostro sole e al nostro vento, l'Isola diventerà una piattaforma energetica per lo sviluppo di altre Regioni. Non basta neanche la sanità in appalto a privati pagati da noi (vedi Mater Olbia), in ossequio ad accordi internazionali del governo italiano che dispone a piacimento della nostra Isola. E ancora, il sistema scolastico è governato da proconsoli inviati da Roma, ad applicare norme pensate per le Regioni del nord, così come quello dei beni culturali (patrimonio archeologico compreso) e si potrebbe continuare ancora a lungo. Altro che costante resistenziale. In conclusione, noi pensiamo ad un soggetto politico in piena evoluzione che si unisca e finalmente organizzi un progetto di resistenza e di speranza che possa invertire la tendenza e arrestare il declino economico, sociale e culturale. "Non aspettate che siano gli stranieri a ricordarvi ciò che dovete fare perchè per un tale impegno voi avete la coscienza e lo spirito, tutto il bene che fate deve venire dalla vostra iniziativa" * *Dal Libro "Mi chiamo Rigoberta Menchu"

Marco Pau Segreteria Rossomori